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Mobilità sanitaria in Europa ed effetti sul termalismo: qualche riflessione


Crisi economico-finanziaria, flussi migratori, necessità di assicurare la sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali, in uno con l’invecchiamento della popolazione e l’applicazione delle nuove tecnologie al comparto sanitario sono alcuni dei fattori che indubbiamente incidono sulla “domanda di salute” dei cittadini europei e che, in ultima analisi, impattano anche sulla mobilità sanitaria transfrontaliera. Il rapporto dell’Unione Europea sulla sanità transfrontaliera nel corso del 2015 (primo anno di piena applicazione della Direttiva 2011/24/UE) evidenzia numeri significativamente contenuti. Le principali ragioni sono da attribuire alla (ancora) scarsa informazione a livello europeo, a barriere burocratiche e linguistiche e allo scarso supporto politico al tema. Sono 100.000 i cittadini che hanno deciso di farsi curare fuori confine (i numeri si riferiscono soprattutto alle cure ospedaliere), ma soltanto mille hanno chiesto l’autorizzazione preventiva prevista dalla direttiva e solo la metà di questi l’ha ottenuta dalle autorità sanitarie nazionali competenti.

Si tratta di un quadro che influenza anche l’erogazione dei servizi in ambito termale? Il rapporto di cui sopra non prende in considerazione i flussi di pazienti europei verso i centri termali. Questi ultimi, tuttavia, costituendo a tutti gli effetti prestazioni di natura sanitaria, risentono della congiuntura nazionale, europea ed internazionale. Come non rendersi conto che se i sistemi sanitari nazionali sono costretti ad assicurare (almeno) un minimo livello di servizi ai propri cittadini, si riduce lo spazio per autorizzare trattamenti/prestazioni fuori confine, tra i quali sono da annoverare proprio le prestazioni termali? Coloro che sostengono che la mobilità sanitaria transfrontaliera sia quasi una panacea per il termalismo europeo finge di non vedere la realtà oppure (e sarebbe peggio) non si rende conto della situazione attuale.

Non sembra superfluo ricordare che la Direttiva 2011/24/UE è stata elaborata a far data dal 2005, periodo storico in cui era legittimo immaginare una forza espansiva del movimento dei pazienti oltre confine nell’ambito dell’Unione Europea. Già in occasione della definitiva approvazione della medesima direttiva (2011) era possibile cominciare a dubitare di tale rosea prospettiva, non foss’altro che i vincoli di bilancio e le politiche di austerità costringono i sistemi sanitari nazionali a rivedere, in senso restrittivo, le rispettive politiche di intervento. Da ciò consegue una riduzione del “basket” di prestazioni assicurato dagli Stati e dai governi, a detrimento di un diritto, quello alla sanità oltre confine, che la Direttiva in parola si era preoccupata non solo di difendere, in ossequio al principio europeo di libera circolazione delle persone, ma soprattutto di rafforzare e promuovere, quale elemento di equità tra i cittadini europei.

La storia recente ci consegna sistemi sanitari nazionali sempre più costretti a “far quadrare i conti” e a ridefinire le priorità di intervento. Nel caso italiano, la buona notizia è che, ancora per qualche anno a venire, le prestazioni termali risultano ricomprese tra i livelli essenziali di assistenza (Lea), ossia tra quelle prestazioni garantite dallo Stato. Ma è sufficiente a far sperare per uno sviluppo delle terme in futuro? Siamo convinti che, accanto al riconoscimento istituzionale dell’efficacia delle prestazioni termali, occorra lavorare per definire una framework di misure strutturali e incentivanti, che permettano di sostenere l’offerta delle prestazioni in un quadro di rinnovata partnership tra strutture sanitari e locali pubbliche e l’imprenditoria privata.

Si è di fronte ad una meta ambiziosa che richiede, inter alia, interventi programmatori che sappiano individuare strumenti e modalità di concertazione territoriale, dai quali emergano progetti di sviluppo in cui si possano sperimentare innovative soluzioni di collaborazione pubblico-privato. In particolare, si rende opportuno ipotizzare azioni in cui gli operatori turistici, le autorità sanitarie e gli enti locali diano vita a momenti di dialogo e di confronto, con l’obiettivo di favorire le cure termali, quali componente essenziale per la promozione di stili di vita e di salute e, quindi, di benessere. L’esperienza maturata e i trends sopra riportati indicano con chiarezza che anche le cure termali, ancorché fortemente ancorate alla loro dimensione terapeutica e medico-sanitaria, risultano strettamente collegate con i concetti di marketing territoriale e di destination management, in un’ottica di valutazione e valorizzazione della destinazione termale intesa anche come meta turistica.

In ambito regionale, esistono già networks e strutture consortili che supportano le stazioni termali, soprattutto per quanto riguarda le iniziative di marketing e di promozione dei trattamenti effettuati. Sarebbe opportuno, in questo senso, evitare un’eccessiva parcellizzazione delle realtà, anche associative di promozione delle terme, per concentrarsi, anche in collaborazione con istituzioni e organizzazioni mutualistico/assicurative, esperti e le associazioni dei pazienti/curisti, su alcuni programmi almeno di scala regionale, capaci di ridare attrattività ad un comparto che, seppure storicamente radicato nel nostro Paese, rischia di perdere la propria collocazione ed efficacia.

Milano, 7 gennaio 2017

Prof. Alceste Santuari
Segretario Generale
Associazione Europea Pazienti e Fruitori Cure Termali



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